Francesco Leone Commercialista

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Oggi , nel quarto appuntamento della rubrica Alfabeto dell’Imprenditore, prendo in considerazione un termine un po’ ostico e molto dibattuto , ovvero , “delocalizzazione” .

La delocalizzazione , quale definizione dal punto di vista economico,  rappresenta l’organizzazione della produzione , sia di beni che di servizi , dislocata in regioni o stati diversi.

La delocalizzazione è una diretta conseguenza del mercato globale, il quale ,oltre a consentire l’acquisto di merci in luoghi diversi da quelli usuali, considerando il mercato delle offerte a livello planetario e non più nazionale o regionale, ha consentito di pensare che alcune funzioni produttive possano essere totalmente delocalizzate in luoghi ritenuti più adatti.

Il concetto di delocalizzazione si oppone, sia da un punto vista economico che teorico e “filosofico”, alla localizzazione .

Per ben comprendere il fenomeno della delocalizzazione, bisogna comprendere in pieno i fenomeni connessi al commercio internazionale quali si sono sviluppati negli ultimi 4 o 5 secoli ( sostanzialmente dalla scoperta dell’America in poi ) . Infatti, in questo lungo arco di tempo si assistito ad uno spostamento del baricentro del commercio internazionale dal Mediterraneo agli Stati Uniti e , negli ultimi decenni, a tutta l’area Asiatica .

Questi eventi hanno fatto sì che si passasse da un sistema economico basato sulla produzione e il consumo di prodotti locali, ad uno basato sullo scambio di tali prodotti tra paesi diversi.

Tutto questo costituisce la nascita del moderno commercio internazionale all’interno del quale si sviluppa il fenomeno delle delocalizzazione produttiva consistente nella totale o parziale interruzione dell’attività produttiva e il contemporaneo spostamento di suddetta attività in un sito estero allo scopo di godere dei vantaggi della nuova ubicazione.

Gli obbiettivi sono molteplici, anche se tutte riferentesi alla convenienza economica.

Per prima l’economicità, che deriva dalla ricerca di Paesi in cui ci sia un concreto vantaggio comparato rispetto ad altri, vale a dire un insieme di regole, situazioni, usi e consuetudini che rendono quel tipo di lavoro meglio realizzabile lì piuttosto che altrove. Per esempio, una produzione in cui la parte focale sia costituita dalla mano d’opera rispetto al valore intrinseco delle merci in trasformazione, viene realizzata in un luogo in cui il costo del lavoro sia minimo, per esempio la Cina o altri Paesi con un basso tasso di sviluppo economico. Una produzione in cui sia necessario un notevole apporto di know-how e software a buon mercato, viene realizzata in India dove sono presenti alte professionalità ad un prezzo orario limitato , particolarmente per aziende native ed operanti nel mondo anglosassone , grazie al comune utilizzo della lingua inglese . Un call- center, in cui il costo principale sia derivante dal personale può essere tecnicamente realizzato dove sia possibile trovare personale professionalizzato, a basso costo, in grado di parlare un buon italiano, per esempio in Romania .

Il secondo obiettivo può essere costituito da incentivi alla delocalizzazione per ragioni di politiche economiche di sviluppo. Abbiamo allora una delocalizzazione regionale, per esempio quando ci sono incentivi alla produzione in una regione italiana piuttosto che in un’altra, oppure una delocalizzazione internazionale, quando un paese si dota di politiche sistemiche in grado di attirare gli investimenti diretti esteri.

Una terza ragione per delocalizzare è la possibilità organizzativa di delocalizzare, cioè avere una organizzazione del lavoro per cui è possibile “staccare” una parte o la totalità di una certa produzione e realizzarla altrove. Abbiamo quindi il caso, per semplificare, di una industria automobilistica che produce determinati modelli in Italia e determinati altri in un diverso stato europeo, succede per esempio con la Fiat che ha alcuni modelli in produzione in Polonia .

Ovviamente , la delocalizzazione , se per la singola azienda può rappresentare un fattore positivo e di crescita o di sviluppo , andando a favorire la crescita della zona economica dove si va a delocalizzare ha anche dei risvolti negativi o , comunque, degli effetti economici ambivalenti .

Il territorio che perde produzioni subisce una contrazione dei lavoratori impiegati in quel settore e perde competitività strutturale, giacché se prima delocalizzare significava solo dare all’esterno funzioni semplici, attualmente si delocalizzano funzioni importanti ( ingegneria , software, progettazione) che vanno sicuramente ad incidere negativamente sul sistema economico e sociale.

Diversa è la situazione per il paese che riceve la delocalizzazione, dato che ottiene posti di lavoro, investimenti e strutture che creano un aumento di ricchezza in quel territorio. Non si creano però i presupposti per uno sviluppo generalizzato, perché gli investimenti, e quindi i ritorni economici, sono veicolati e riscossi dalle aziende nel paese che delocalizza, e sono comunque legati ad una forzatura legale e finanziaria che, qualora avesse termine, riporterebbe la situazione ad un livello simile, se non peggiore, al preesistente.

Come tanti concetti utilizzati in ambito economico , quindi, anche la delocalizzazione può avere una lettura positiva o negativa a seconda che la si guardi dal lato del territorio “delocalizzante” o “delocalizzato” .

Se vuoi approfondire questo argomento e ricevere ulteriori consigli o indicazioni sul tema della Delocalizzazione ( o vuoi portare la tua esperienza ) puoi scrivere a info@studioleone.biz o commentare questo articolo .

Francesco Leone

www.francescoleonecommercialista.it

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